Con errore medico risarcimento anche ai parenti per il cambio delle abitudini di vita

Il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio.

Tale consenso è talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l’intervento sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale “deficit” di informazione, il paziente non è stato messo in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica.

È quanto è stato deciso dalla Corte di Cassazione Sezione 3 Civile  con la Sentenza del 15 aprile 2019 n. 10423.

IL FATTO

La (OMISSIS) adiva il Tribunale cagliaritano per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un intervento di splenectomia totale, eseguito da equipe medica diretta dal Dott. (OMISSIS) il 13 giugno (OMISSIS), dopo che le era stata prospettata – anche all’esito di esame ecografico, eseguito il precedente 27 maggio la necessita’ solo dell’asportazione di una cisti splenica, non ricevendo, cosi’, la paziente  alcuna preventiva informazione in merito all’operazione effettivamente eseguita.

Deduceva, inoltre, la (OMISSIS) di aver accusato, all’esito dell’operazione, fortissimi dolori toracici e dispnea, essendo sottoposta a due toracentesi, il 16 ed il 20 giugno (OMISSIS), senza pero’ ricevere, nuovamente, alcuna informativa sulla natura e sulla causa delle predette complicanze e sulla terapia praticata. Dimessa dall’ospedale (OMISSIS) il 22 giugno, dopo essersi rifiutata di sottoporsi ad un nuovo intervento di toracentesi, la (OMISSIS), lamentando ulteriori dolori addominali, si recava, il giorno successivo, presso l’ospedale (OMISSIS), dove – previa diagnosi di un versamento pleurico, sia in sede sottodiaframmatica sinistra, che nella loggia splenica veniva dimessa il giorno 29 giugno. Ricoverata nuovamente, in data 2 luglio (OMISSIS), presso l’ospedale (OMISSIS) (ove le era stato consigliato di sottoporsi ad un controllo urgente, nel reparto in cui era stata operata), la (OMISSIS) veniva sottoposta, tre giorni dopo, ad una tomografia computerizzata all’addome, nonche’, il successivo 7 luglio, ad un drenaggio TC guidato, per essere, infine, dimessa il 13 luglio.

Lamentando il persistere di dolori toracici ed addominali, nonchè gonfiore, dispnea e stato ansioso-depressivo, oltre a una lesione del nervo frenico (comportante la presenza di singhiozzo incoercibile dopo i pasti) in conseguenza dell’intervento di splenectomia, la ricorrente si rivolgeva, come detto, al Tribunale di Cagliari, per chiedere il risarcimento dei danni all’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) (che otteneva di essere autorizzata a chiamare in causa il proprio assicuratore, i (OMISSIS)) e al Dott. (OMISSIS). Soddisfatta parzialmente dal primo giudice la pretesa attorea, in accoglimento del gravame principale del (OMISSIS) e del (OMISSIS) (respinto, invece, quello incidentale di essa (OMISSIS)), il giudice di seconde cure rigettava, invece, la proposta domanda di risarcimento danni.

Avverso la sentenza n. 271/16, del 17 gennaio 2016 della Corte sarda, che – in accoglimento del gravame esperito dall’Azienda Ospedaliera e da (OMISSIS) ha rigettato la domanda risarcitoria, da responsabilità sanitaria, proposta, avverso i predetti soggetti, la ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione.

LA DIFESA DELLA CONVENUTA

L’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, che hanno chiesto dichiararsi inammissibile (per violazione del principio di autosufficienza) o infondata.

LA DECISIONE DELLA CORTE

L’odierna ricorrente, ha, infatti, proposto azione risarcitoria per ottenere il ristoro, oltre che del danno alla salute derivato (in ipotesi) alla mancata informazione, anche di quello scaturito dalla lesione del diritto all’autodeterminazione terapeutica in se’ considerato, rispetto al quale il carattere necessitato dell’intervento e la sua corretta esecuzione restano circostanze prive di rilievo.

Difatti, “in tema di attività medico-chirurgica, secondo la Suprema Corte è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all’esecuzione di un intervento chirurgico, ancorché esso apparisse, “ex ante”, necessitato sul piano terapeutico e sia pure risultato, “ex post”, integralmente risolutivo della patologia lamentata, integrando comunque tale omissione dell’informazione una privazione della libertà di autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative all’espletamento dell’atto medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun modo compensati dall’esito favorevole dell’intervento”.

Questa Corte ha pure affermato che il danno da lesione del diritto all’informazione può essere costituito, “eventualmente, dalla diminuzione che lo stato del paziente subisce a livello fisico per effetto dell’attività demolitoria, che abbia eliminato, sebbene ai fini terapeutici, parti del corpo o la funzionalità di esse: poiché tale diminuzione si sarebbe potuta verificare solo se assentita sulla base dell’informazione dovuta e si e’ verificata in mancanza di essa, si tratta di conseguenza oggettivamente dannosa, che si deve apprezzare come danno-conseguenza indipendentemente dalla sua utilità rispetto al bene della salute del paziente, che è bene diverso dal diritto di autodeterminarsi rispetto alla propria persona 

Questa Corte, da tempo, affermato – proprio con specifico riguardo all’attività chirurgica – che il consenso informato del paziente si pone come condizione “essenziale per la liceità dell’atto operatorio.

In effetti, il consenso informato – secondo l’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008) – deve essere inteso quale espressione della consapevole adesione del paziente al trattamento sanitario proposto dal medico e si configura quale vero e proprio diritto della persona, trovando fondamento nei principi espressi nell’articolo 2 Cost., che della persona tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono, rispettivamente, che “la libertà personale e’ inviolabile”, e che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Si tratta, inoltre, di diritto ribadito da diverse norme sovranazionali, tra le quali spiccano l’articolo 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina.

La stessa giurisprudenza di questa Corte ha, del resto, sottolineato come tale diritto rappresenti, allo stesso tempo, “una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi, che si sostanzia non solo nella facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla”.

Orbene, siffatti principi sono stati disattesi dalla sentenza impugnata, perciò la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari, in diversa composizione, perché decida in ordine alla domanda risarcitoria proposta dalla (OMISSIS) per lesione del diritto all’autodeterminazione, alla stregua dei principi dianzi illustrati.

Avv. Edno Gargano

Studio Legale Gargano